La riscossa dei trequartisti italiani: Baldanzi, Pafundi, Vignato
Gli azzurrini del Mondiale Under 20 e quelli dell’Europeo Under 19 hanno qualcosa in comune: centrocampisti offensivi di grande talento.
Ah, l’Italia. Pasta, pizza, mandolino, catenaccio e… trequartisti. Tradizione e fantasia, da sempre, sono i valori che permeano il nostro Paese e, come logica conseguenza, il nostro credo calcistico. Alcune usanze sono amalgamate nel tessuto sociale, emergono con maggiore naturalezza e non hanno problemi a protrarsi nel tempo. Altre sono più sfuggenti, non facili da tramandare. C’è chi le ostacola, chi le ignora, e chi proprio non riesce a metterle in pratica con continuità. Può capitare, quindi, che finiscano sottotraccia, ci si dimentichi di loro, si faccia finta che non esistano.
Così qualcuno ha cominciato a sostenere con malizia che il calcio italiano fosse ancora oggi troppo difensivista, che coincidesse col famoso catenaccio reso popolare negli anni 60 dall’Inter di Helenio Herrera e dal Milan di Nereo Rocco. Non è così. Il catenaccio è stata una scelta tattica vincente che nel corso degli anni ha dovuto ridimensionarsi e adattarsi all’evoluzione dei ritmi di gioco e della tecnica individuale. Ma, in quanto abitudine fortemente radicata nella mentalità nostrana, ha lasciato quel sano pragmatismo che concepisce la vittoria – e non lo spettacolo – come primo fine del gioco.
Anche e soprattutto per questo, ci siamo dimenticati che l’Italia è patria di quella tipologia di calciatori geniali, brevilinei, tendenti all’effimero e mal disposti a rincorrere l’avversario: i trequartisti. Un ruolo ambito, enigmatico, spesso eletto a vittima sacrificale per lo scopo supremo del risultato. Chiunque abbia deciso di tentare la fortuna in quella posizione ibrida tra centrocampo e attacco, prima o poi, ha subito critiche o ha dovuto adattarsi a moduli non consoni alle proprie qualità pur di non finire a scaldare la panchina. Tutti i grandi campioni ci sono passati: dal pallone d’oro Gianni Rivera al dribblomane Giancarlo Antognoni.
Persino una leggenda come Roberto Baggio ha più volte fatto fatica ad esprimersi con costanza nel ruolo che lo ha consacrato. Il Divin Codino era l’archetipico numero 10 che prosperava quando schierato dietro a due punte, libero di orchestrare il gioco e produrre momenti di magia. Ma Arrigo Sacchi non aveva intenzione di modificare il suo 4-4-2 e, dopo di lui, nemmeno Ancelotti, che al Parma prima “cacciò” Zola e poi votò contro l’arrivo di Baggio, pentendosene amaramente (“Fui un pazzo”, racconterà anni dopo. “Pensavo ancora che il 4-4-2 fosse lo schema ideale per eccellenza, ma non era così. Se avessi la macchina del tempo, tornerei indietro e, Baggio, eccome se lo prenderei”).
Insomma, tutti hanno fatto fatica. Tutti, tranne uno. Nel 1997, Zdeněk Zeman siede per la prima volta sulla panchina della Roma, e il suo 4-3-3 iperoffensivo subisce improvvisamente una leggera variazione, influenzato dal talento di un giovane fantasista che, partendo da sinistra, finirà per accentrarsi stabilmente: Francesco Totti. Il resto è noto, così come il buio rimasto sulla trequarti azzurra dopo il ritiro dell’eterno capitano giallorosso. Decine e decine di calciatori italiani hanno provato a perpetuare questa tradizione, alcuni riuscendoci soltanto in parte – entrando nel cuore dei tifosi più romantici, come Alino Diamanti o Simone Verdi – altri contribuendo ad alimentare le critiche e la diffidenza verso la vanità del ruolo.
La Next Gen dei Trequartisti Azzurri
Eppure, tra maggio e luglio, un po’ di luce è tornata a splendere. Gli azzurrini arrivati in fondo al Mondiale Under 20 e quelli che hanno vinto l’Europeo Under 19 hanno qualcosa in comune: centrocampisti offensivi di grande talento. Parliamo, in primis, di un nome ormai noto grazie alla lungimiranza di Paolo Zanetti: Tommaso Baldanzi, classe 2003 che con l’Empoli ha già collezionato 26 presenze e 4 gol (di cui uno decisivo a San Siro contro l’Inter) in Serie A. L’esordio tra i professionisti risale al 28 ottobre 2020, a 17 anni, entrato al posto di Bajrami contro il Benevento in Coppa Italia. Subito un assist, per mettere le cose in chiaro. Zanetti lo schiera per la prima volta in campionato a fine agosto, da completo sconosciuto. Tre giorni dopo scarica una fucilata di mancino alle spalle di Montipò, portiere del Verona, e in un attimo quella posizione ibrida tra centrocampo e attacco torna intrigante.
C’è un nuovo interprete in città: è giovanissimo, ambidestro, calcia da ogni posizione. Qualcosa è cambiato, però, dalla vecchia concezione – Baldanzi sprizza dinamismo, si sacrifica, non ripudia la fatica di coprire un compagno fuori posizione. 69 palloni recuperati (2,6 a partita) e 21 passaggi intercettati testimoniano un’abnegazione difensiva fuori dal comune, oltre a un’attenzione tattica non banale. È il trequartista contemporaneo che comincia a delinearsi: non più indolente e per lunghi tratti fuori dal gioco, ma desideroso di fare. Dopo Casadei, l’azzurrino che ha brillato di più fino alla finale persa contro l’Uruguay: 2 gol e 2 assist in 7 partite.
Insieme a lui, ma dalla predisposizione leggermente più offensiva, Simone Pafundi. Con l’Udinese ha avuto veramente poche chance (in due anni, appena 9 apparizioni), ma stiamo parlando di un 2006 (!). Non è un caso che il CT della nazionale Roberto Mancini, quando stila la lista dei convocati, scriva “prima Pafundi, poi tutti gli altri”. Le statistiche non mentono: in appena 108 minuti di Serie A, sempre da subentrante, ha provato due volte il tiro da oltre i 20 metri e ha completato l’83,3% dei passaggi effettuati, creando 5 azioni pericolose. 8 contrasti tentati, 5 riusciti – la maggior parte, nonostante la corporatura smilza.
Ma il dato più impressionante riguarda i tocchi: 103, quasi uno al minuto. Come dire: passatemela sempre, anche se ho l’uomo alle spalle. Ci penso io. E infatti Nunziata, mister dell’Italia Under 20, ha fatto tanto affidamento sul diciassettenne, schierandolo dall’inizio nelle tre partite del girone e chiamandolo nuovamente in causa nel momento di maggior bisogno: all’82esimo minuto, in semifinale contro la Corea del Sud. Sono passati 4 minuti, poi è arrivata una punizione dal limite. Ci penso io, ha detto, e l’ha messa all’incrocio.
Poco più grande di Pafundi è, infine, il beniamino dei tifosi monzesi Samuele Vignato. Suo fratello Emanuel sembrava potesse esplodere nel Bologna di Sinisa Mihajlovic, ma ancora non è riuscito ad affermarsi stabilmente. L’eredità di giovane promessa è quindi passata al minore, nato quattro anni dopo e messosi per la prima volta in mostra due stagioni fa in Serie B con un gol e un assist. Quest’anno Palladino non gli ha dato molte opportunità, ma nei 56 minuti giocati ha mandato in porta Pessina per il gol della vittoria a Sassuolo. In Nazionale è già un leader – gioca col 10 sulla schiena ed è stato tra i protagonisti dell’Europeo vinto a Malta. In particolare, ha mostrato a tutti il suo fondamentale preferito: il dribbling, la progressione palla al piede. Contro la Polonia, gara decisiva per passare il girone, è partito dalla propria trequarti per poi servire un pallone solo da appoggiare in rete ad Hasa, nell’area avversaria.
Se due indizi fanno una prova, tre danno una speranza.