La vittoria contro il Barcellona non risolve i problemi dell’Inter

Una vittoria importante che non può nascondere un inizio di stagione più complicato del previsto

Simone Inzaghi

Nel day after viene naturalmente da chiedersi se la vittoria contro il Barcellona, importante seppur a livello tecnico non pienamente convincente, può rappresentate un crocevia di una stagione dall’inizio decisamente complicato, se non a tratti disastroso. Problemi difficili da spiegare, pur al netto dell’assenza di Lukaku, della partenza di uomo chiave come Perisic e dall’inserimento meno facile previsto di alcuni giovani. Motivazioni non sufficienti a spiegare un’evidente involuzione tecnica e mentale, della quale sicuramente è responsabile Simone Inzaghi come anche una società spesso assente, dall’operato confusionario e dal futuro indecifrabile.

Sicurezze smarrite

I Nerazzurri hanno perso le loro certezze. In fase di possesso non è più quella squadra fluida che con qualità tecnica, rotazioni e interpretazioni individuali è in grado di manipolare a proprio favore il pressing avversario, In fase di non possesso non esprime più un pressing corale e organizzato tra i reparti, accettando di buon grado i duelli difensivi. Al suo posto, troviamo una squadra dall’impostazione lenta, poco coraggiosa e prevedibile. Un pressing individuale poco coeso con scalate lente e un terzetto difensivo timoroso nell’accorciare. Difficoltà che in un primo momento potevano trovare, almeno in parte, spiegazione nella ricerca di principi di gioco diversi, ossia una maggior verticalità, transizioni più rapide per valorizzare le qualità di Lukaku e nascondere le lacune in possesso di Gosens.

Dopo un mese e mezzo di stagione, tuttavia, la sensazione è che si fosse rotto qualcosa. Sia a livello tecnico, ma anche – o soprattutto – nel gruppo e nell’ambiente in generale, come d’altronde testimoniava il linguaggio del corpo sul rettangolo verde da parte di alcuni elementi chiave. Cose che nella partita di Champions League contro il Barcellona – c’è da dirlo – non si sono viste, rappresentando un segnale incoraggiante, in grado di compensare un approccio incredibilmente reattivo fatto di difesa posizionale insistita, baricentro basso e transizioni offensive iper-verticali, magari sufficiente contro il possesso sterile blaugrana, ma difficilmente sostenibile ed efficace nel corso della stagione per le caratteristiche della rosa.

Simone Inzaghi, Inter
MILAN, ITALY – MARCH 04: Lautaro Martinez of FC Internazionale celebrates with Simone Inzaghi, Head Coach of FC Internazionale after scoring their team’s first goal during the Serie A match between FC Internazionale and US Salernitana at Stadio Giuseppe Meazza on March 04, 2022 in Milan, . (Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

Le interviste, i cambi, la gestione del gruppo

Una gestione tecnica che nei momenti di difficoltà ha espresso tramite stampa, anche in maniera meno velata del solito, i propri dubbi e malumori, di fatto incrinando in minima parte i rapporti con la società. Una crepa che nasce al termine della prima giornata di campionato nella sofferta vittoria contro il Lecce al Via del Mare, partita spia dei problemi della nuova Inter. “Gli altri acquistano e noi dobbiamo trattenere i giocatori” ha sottolineato un Inzaghi scocciato alludendo – anche correttamente – ad un mercato deludente e ridimensionato rispetto alle aspettative. Mentre, recentemente, si è visto invece un Inzaghi decisamente inorgoglito, in una difesa convinta e a spada tratta del proprio operato. “Dove alleno io aumentano i ricavi e si vincono trofei”, ha detto, a proposito di una ancora breve carriera. Tra queste due interviste sono passate settimane di difficoltà e confusione, culminate nel tragicomico doppio cambio della Dacia Arena. La sostituzione dell’ammonito, soluzione cara al tecnico ex Lazio da sempre ma in questo contesto francamente eccessiva, fa trasparire una ricerca disperata delle proprie sicurezze, di un rifugio sicuro in cui ripararsi in attesa del passaggio della tempesta. Una sicurezza agognata che trapela anche nella gestione del gruppo, dei nuovi e dei “nuovi vecchi” come Gosens.

Difficile da immaginare e da accettare un utilizzo così scarso di un giocatore dalle caratteristiche così peculiari come il tedesco, pur al netto delle ottime prestazioni di Dimarco, su cui comunque permangono legittimi i dubbi sulle miglior collocazione in campo. Certo, la convivenza di due animali da area come Gosens e Dumfries è un bel rebus tattico, ma che comunque meritava essere affrontato tempestivamente e con iniziativa, invece che affidarsi a Darmian nella sacra regola “dell’usato sicuro“. Analogamente, fa storcere il naso la gestione di Asllani, su cui prevedevamo un inserimento graduale ma convinto anche in posizione di mezzala, al quale è stato più volte preferito Gagliardini, con risultati modesti. Come anche Bellanova che con la sua capacità di saltare l’uomo sarebbe potuto essere un’alternativa efficace alla prevedibilità inscalfibile di questa prima parte di stagione, pur consci dei limiti in fase di possesso. In ultimo, la gestione Handanovic – Onana, forse il principale hot topic all’interno del mondo interista.

Robin Gosens in maglia Inter

Una società “poco sincera”

Dette le innegabili difficoltà attuali, non si può non riconoscere Inzaghi come il principale artefice – in positivo – della scorsa stagione. Un’annata terminata con una cocente delusione, ma della quale non si devono dimenticare le premesse. Le grandi incognite nate dall’addio di Conte e di tanti elementi chiave sono state spazzate via dalla sapiente gestione tecnica del tecnico ex Lazio, in grado in poche settimane di costruire un’identità completamente nuova, quasi diametralmente opposta, rispetto a quella lasciata in eredità dal suo predecessore. Una ricostruzione che è stata permessa grazie ad un gruppo solido, a propria volta figlio di una gestione societaria del mercato estivo onesta e in linea con le proprie disponibilità economiche. Sacrifici importanti e necessari, sostituiti da profili complementari ma omogenei che hanno composto la base su cui fondare i nuovi principi. Una chiarezza negli intenti e nell’operato che non si è vista nel mercato estivo di questa stagione, producendo risultati del tutto opposti. Un mercato partito col botto, celebrato in pompa magna durante la campagna abbonamenti, con grandi premesse e promesse ma, conti alla mano, improvvisato, costituito da occasioni e colpi scalda-tifo e non finalizzato al consolidamento dei principi costruiti. Un approccio confusionario e poco lungimirante, che ha lasciato alcuni giocatori con le valige in mano per settimane e con tante incognite, probabilmente legato ad un futuro societario incerto con una proprietà alla ricerca di un compratore, traducendosi in campo con prestazioni individuali decisamente sotto standard, al di là delle responsabilità della gestione tecnica, soprattutto in alcuni elementi chiave come ovviamente Skriniar, ma anche gli stessi Brozovic e Barella.

Insomma, un mercato lampo, mediaticamente coinvolgente, finalizzato perlopiù a mettere una toppa prima della vendita. Una chiave di lettura forse drastica ma da un certo lato comprensibile e “digeribile” che invece diventerebbe del tutto ingiustificabile se messo in relazione ad una proprietà – poco probabile, ma non da escludere totalmente – non intenzionata a vendere o comunque non nell’immediato futuro. In questo caso non si potrebbe non puntare il dito contro una dirigenza miope e poco prona al cambiamento che non solo non è stata in grado di cogliere e di intercettare l’innovazione, ma che non ha seguito la via indicata da altre società, Milan in primis. Un sistema intero, più che sessioni di mercato, impostati su scouting e profilazione, anteponendo i principi al nome, ricercando le caratteristiche, intuendo le potenzialità e rifinendole con il lavoro sul campo. Proponendo e affinando sempre più nuovi metodi di lavoro, l’unica possibilità per stare al passo nel sempre più elitario calcio dei budget.

Leggi anche

Loading...