Il Sassuolo ha saputo cadere
La retrocessione non ha interrotto il progetto, l’ha perfezionato. Ora è tornato in A con la stessa identità e qualche certezza in più.
Dopo una retrocessione tanto inaspettata quanto sfortunata, i neroverdi sono ripartiti senza rivoluzioni o stravolgimenti roboanti. Hanno avuto la forza di mantenere l’ossatura portante della squadra, si sono assunti il rischio di non svendere i loro talenti e hanno continuato ad operare con una visione coerente e illuminata, propria di una società stabile e lungimirante. Sono tornati in A con naturalezza e, facendo tesoro degli errori del recente passato, hanno saputo correggere il tiro a partire da un mercato estivo intelligente e mirato, volto ad aggiungere ad un organico già pronto per la massima serie le caratteristiche per competere da protagonisti, senza nemmeno aprire il discorso salvezza.
Un mercato che ha saputo discostarsi con criterio dalle recenti sessioni estive del Sassuolo, accostando profili giovani e futuribili a personalità più esperte, fiutando l’occasione di mercato ma con occhio alle esigenze strutturali della squadra, costruita per avere una mentalità propositiva e un’identità riconoscibile da tradurre sul campo.
Per questo, ad aggiungersi a Berardi, Laurienté, Pinamonti e Thorstvedt sono arrivati Ismaël Koné, classe 2002 finito ai margini all’OM, in prestito con obbligo a 10 milioni; uomini-squadra come Nemanja Matić, leader tecnico, collante tra i reparti, guida emotiva per i compagni; personalità come Jay Idzes, opportunità dal retrocesso Venezia dopo annate ad alto rendimento, che ora costituisce una delle coppie centrali più interessanti insieme a Muharemović, prodotto della Juve Next Gen ingaggiato per appena 3 milioni e fatto crescere nell’anno in B, figlio della stessa programmazione che ha portato a cogliere la retrocessione come trampolino, facendo sviluppare al meglio anche il talento di Volpato.
Una serie di scelte corrette e ponderate, che hanno proiettato oggi il Sassuolo ad essere una squadra da lato sinistro della classifica, soprattutto nelle idee e per quanto esprime sul campo, sotto la direzione di Fabio Grosso, la cui designazione è forse la scelta più audace e fin qui vincente dell’intero programma di risalita. Probabilmente il meno celebrato della “scuola degli allenatori del 2006”, alla prima esperienza in Serie A Grosso ha saputo dare un’identità forte alla squadra: per prima cosa, si difende a 4, una scelta non scontata di chi intende fare della proposta offensiva – e non della comoda speculazione – la propria filosofia. I principi di gioco sono altrettanto chiari: la struttura si regge su un centrocampo robusto e di gamba, ma con tanta qualità; le mezzali hanno licenza di invadere l’area combinando con gli esterni, il cui primo compito è puntare il diretto avversario, in una manovra che coinvolge molto anche la prima punta. Le due reti segnate a San Siro contro il Milan sono il manifesto di una ricerca associativa mirata, che esalta il potenziale offensivo di una formazione che il gol se lo va sempre a creare grazie alla qualità dei suoi interpreti.
Il risultato di questi fattori è una squadra che ha idee e che gioca bene a calcio, è piacevole da seguire ed è un esempio positivo per le altre società italiane, tanto da farci dimenticare che si tratta pur sempre di una neopromossa.
L’esperienza di una società che ha saputo gestire con oculatezza e forza l’imprevisto, ritrovando slancio grazie alla sua progettualità, ci lascia una lezione sottile: spesso, i modelli migliori si riconoscono più dopo una caduta che dopo un successo.