Appunti – Che partita è stata Barcellona-Inter

A Barcellona, l’Inter mostra segni di guarigione, mentre la squadra di Xavi è ancora troppo acerba per questo livello e ora è a un passo dall’eliminazione

Nicolò Barella in maglia Inter

Nel pareggio del Camp Nou si sono viste tante cose. Timore e coraggio, errori, più partite nella stessa partita. Da una parte un’Inter che sta cercando di ritrovare più sicurezze che identità e dall’altra un Barca abbastanza deludente, ancora acerbo e prevedibile.

Un’Inter a due facce

L’Inter riparte dalla partita di una settimana fa a San Siro. Baricentro basso, difesa posizionale e ripartenza. Attesa, forse troppa, frutto di un’autostima ancora da recuperare appieno e un eccessivo timore reverenziale verso un Barca ancora lontano dai fasti del passato recente. Un timore, scrollato di dosso – paradossalmente, ma non troppo – dopo il gol subito causa disattenzione nel finale di primo tempo ad opera di Dembele. Nel secondo tempo si vede fin da subito un’Inter decisamente più intraprendente, ugualmente verticale ma con un baricentro più alto e una voglia di non subire ma aggredire un avversario decisamente svagato nelle transizioni difensive e in situazioni posizionali. I due gol non sono un caso e la partita si mette decisamente sui binari giusti.

L’Inter si porta meno il nemico in casa ed è sempre pericolosa nella sue ripartenze. Al 76′ tuttavia Inzaghi rispolvera le sue sue doti di auto-sabotatore e decide di mettere in difficoltà i suoi. Via Dzeko e Calhanoglu dentro Gosens e Bellanova. 541 con quattro esterni e tre centrali nel più classico dei “toh, questa è la palla, è tua”. Vero, i due sostituiti erano a corto di energie e le soluzioni in panchina erano poche, ma l’impressione è che si potesse mantenere l’assetto che ben stava tenendo il campo. Risultato: il classico gol su deviazione. C’è che si appella alla sfortuna, ma quando ti chiudi a protezione della tua area, portando tanti uomini all’interno di essa, le probabilità di una deviazione casuale sfavorevole aumentano. Poco da fare. Solo un Barcellona difensivamente sconcertante concede all’Inter l’opportunità di portare a casa l’intera posta in gioco, fermata da Lewandowski prima e dallo stop sbagliato di Asllani poi.

Inzaghi, ringalluzzito dalla vittoria di San Siro, probabilmente punta a ricostruire un’Inter differente, di Contiana memoria, in attesa del ritorno di Lukaku. Ma questa Inter è diversa. Dumfries e Dimarco, per caratteristiche e non valori, non sono Hakimi e Perisic. Non sono giocatori efficaci nel risalire il campo velocemente, il primo per lacune tecniche in conduzione, il secondo per lacune atletiche e difensive. La catena di sinistra composta con Mhkitaryan è una scommessa, per cui accetti le pecche in fase difensiva, per avere più qualità in ripartenza. Una scommessa che può risultare vincente in un contesto di dominio e controllo del possesso, del tutto diverso se sollecitati costantemente nella propria metà campo con tanto campo da risalire una volta riconquisto il pallone. L’armeno non è stato preso per questo.

Un Barcellona deludente

Dall’altra parte un Barcellona decisamente acerbo, sterile e prevedibile. In entrambe le uscite contro i Nerazzurri. Rispetto alla partita di una settimana fa, Xavi riporta Raphinha – forse il più costante tra i suoi – sulle sue zolle preferite e schiera un 433 molto fluido che in fase offensiva ruota verso un 352 con il brasiliano ex Leeds e Dembele a dare ampiezza e isolamento, Roberto scalato da mezzala e Pedri a supporto di Lewa. Nonostante il potenziale tecnico la manovra è spesso prevedibile, gli uno vs uno sugli esterni sono facilmente arginati con i raddoppi, concludendo con cross ampiamente leggibili che possono essere raccolti solo da Lewandowski. Xavi non è riuscito a sfruttare la superiorità tecnica del proprio centrocampo, né in fase di costruzione, cercando di indurre l’avversario al pressing per poi trovare gli esterni, né mediante trame veloci nelle zone centrali. L’impressione è che questa squadra necessiti delle qualità di De Jong, capace di alternare gioco corto, lungo e conduzione del pallone, magari in una nuova posizione, quella ricoperta da Sergi Roberto.

Bomber e portieri a confronto

Una serata che ha esaltato e sottolineato, se ce ne fosse bisogno, le qualità dei bomber delle due squadre. Da una parte Lewandowski, autore di una doppietta, pur servito male e poco dai compagni. Il secondo gol, in particolare, è un esempio di atletismo ed equilibrio da parte del “centravanti più coordinato del mondo”. Dall’altra Lautaro Martinez, un attaccante non particolarmente cinico, ancora molto altalenante in termini di realizzazione, ma che sta diventando sempre più il leader emotivo di questa squadra. Aggressività, ferocia, forza nelle gambe, a volte basta una pressione o una scivolata per dare una scossa nei momenti di difficoltà. Ah, lo stop di petto in controtempo su Garcia è da vedere e rivedere.

Anche tra i pali è stato un duello interessante con due portieri dell’interpretazione estremamente differente. Onana è questo portiere qui: teatrale, istintivo, capace di alternare grandi parate e interventi rivedibili. Ma la sensazione è positiva, un portiere – pur nei suoi limiti – molto carismatico, in grado di esaltare l’intero pacchetto arretrato. La proprietà tecnica nelle gestione del pallone non si scopre certo ieri sera. Sempre più importante nel calcio di oggi, dove tutti pressano tanto e bene. Ter Stegen è un portiere decisamente più asciutto, lineare, uno dei capostipiti del portiere “coi piedi buoni”, il cui valore tra i pali è stato forse poco riconosciuto nel corso della sua carriera, un po’ per questo e un po’ per aver vissuto sfortunatamente all’ombra del connazionale Neuer. La croce iberica su Asllani in pieno recupero – al netto dell’incertezza dell’interista – è forse il manifesto suo e della scuola tedesca.

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